Poesia “Canzone d’amore (Officina 3)”

Dalla raccolta <Sifilide. Antologia di sorrisi>, Trento 1989
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E fu l’eterno abbraccio
quel grido acutissimo
mille cinghiali sgozzati piano
e sirene e schianti e clamori.
Ti entrai con la durezza del granito
e raschiai a fondo le tue carni
per confonderci nel sangue
Mia!
Come le reliquie d’immagini
e di ricordi
che ci portammo in quel letto
-più dentro
più in te
fino a toccarti nella morte –
e si aprivano spacchi lunghi
nelle mie paure, nei nostri tremori
e la mia furia ti copriva di salive
e tra le mie braccia
il sole vivo ardeva
liberando incandescente
la mia carne.
Alcol sulle ferite
e morsi rapidi
a spargere quei deliri.
Tu mi scoppiavi attorno
per non essere più
miserabile e solitaria unità.
Mi parevi il rimedio
ti parevo assoluto,
noi due forti
noi due grandi tempeste nel Regno.
Mi accecava il tuo canto
mi cresceva il tuo calmo respiro.
Ben più della carne ti avevo dato!
Ben più della vita!
Mi amasti e vivesti
in poche ore
il tempo dell’infanzia
e della maturazione
(mentre fuori
scoppiava d’acqua il cielo di Joinville
come in acqua si scioglieva
quel canto dolcissimo).
Dove eri tu
io scorgevo scintille, bagliori, malizie
e accorrevo a sfinirmi
a latrare in ginocchio
a implorare, a imprecare, a stupire
-era il senso dell’Uomo
la definizione
rottura di cerchi che chiudono esseri
in maschere irrisolte –
Ero in te all’infinito
nel tuo ventre
nella tua eternità.
Era mio il tuo manto di strani fantasmi
mi donasti quel mondo
di rinascenza e sostanza
penetrato di pelle ed idee
mi donasti preghiera, perdono, stupore.
Verrà la morte e avrà i tuoi fuochi!
Verrà la morte e avrà i tuoi giuochi!
Verrà la morte e avrà i tuoi gnocchi!
Verrà, la morte!
Ma ti ricordi ora
i giorni che tu mi rubasti
le idee che strappasti dalla mia carne
le fiabe oscene
che coglievi dalle mie labbra
per mutilare assieme il sole della nostra disperazione?
Ti ricordi
gli orgasmi muti di parole
ed abbrunati da musiche lacerate?
Mi chiedesti di prendere in me
l’intera tua vita
di donarti le mie devastazioni.
Ti ricordi?
Ti ricordi
come il nostro sorriso scioglieva gioielli
in quell’estate?
Ti ricordi di me, del mio idioma sconnesso?
La cercasti quella mia morte
nella tua bocca?
-Dammi ora il sogno
voglio avvolgermi in esso –
Se non c’eri
un delirio
una carne impedita
-il tuo Brasile mi ha infestato
di sogni e spettri –
Ti ricordo femmina aperta
accesa
mia ultima totalità
e mi versavo in te
e ti portavo sapienza (e dolore).
A volte
crepare i gonfiori era ciò che volevo
azzannare, azzerare, invadere
-grida se puoi
strappa il giorno
che venga la notte! –.
Qualcun sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di polvere.
Ed è subito sera.
Qualcuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sogno.
Ed è subito sera.
Ognuno sta solo sul cuor della terra.
Io
ricordo le tue radici esauste
i denti tuoi scolpiti di colore
il ghiaccio riflesso
delle tue delusioni
il rimorso
il mio rimorso
ricordo che mi ungevi di urgenze
per poi piagarmi col dubbio dei tuoi occhi.
Ed io pazzo
nella città tedesca
ossessionato da strane
e contorte melodie
mentre tu lastricavi quelle strade
di cocci e rottami.
Tu ordinasti alla notte
di entrarmi dentro.
Maledetta! Benedetta!
Ti preparavo altari
di versi ed eiaculazioni
ti ho messa a dormire nel sogno
per sempre, per sempre.
Il tuo sguardo mi è dolce
come un tempo d’infanzia
-la tua mano adolescente
quei tuoi occhi profondi d’erbe
quegli occhi
padrona dei miei peccati
padrona dei miei pentimenti -.
Io
ricordo quel cammino danzante
le mie lacrime come insetti
nell’incavo delle tue mani
(e mi chiedesti un pianto di orchidee,
ti ricordi?).
Ho messo le mani nel tuo sorriso
ne ho decifrato il rigo
ne ho calibrato la malinconia.
Ora
mi dà nuova vita e mi uccide
e il mio volo ha le ali piegate
da tanto silenzio
senza mete, né lieti bivacchi.
Ma poi vedo che il senso mi sfugge
(di tutto ciò che è qui
ora
che c’è stato
sempre
che si sarà)
ed allora ti aggiungo ai ricordi
nella gran luce
e riprende il respiro del tempo
e noi vi siamo infissi
per ciò che fummo assieme
mia dolce ed umana compagna di un tempo.
Mi manca forse il tuo quieto singhiozzo
quella benda di silenzi
sulla mia ferita d’ansie.
-Siamo un pugno di ossa
vaganti nel buio
coperte solo dai sentimenti
(che si fanno ricordo) –.
Volevo porre nella tua carne
il ricordo di questa mia forza
nei lunghi giorni
di una maternità
che quel sogno vivesse
che si unissero due evanescenze
che in lui tu figliassi noi due
(come fummo).
Rimani in questo mio tempo
-per ognuno poche ore
un passaggio di nubi
uno schianto –
perché porti i miei segni
nella tua carne
hai raccolto il mio sogno
tutto ciò che valeva.
Io
ti stendo all’orizzonte
t’accarezzo, t’annuso, ti piango
ora sei prigioniera per sempre.
Dove finisce il tempo
e il dolore si quieta
t’incontrerò ancora
di corpo e carezze.
Ditelo al Possum!
Uno schianto, non una lagna.